Lo stemma di papa Francesco, con scudo d’azzurro – di una disarmante semplicità come, d’altro canto, lo è il pontefice – si compone di tre figure distintive. L’emblema della Compagnia di Gesù, Ordine cui appartiene papa Francesco – raffigurato da un sole raggiante e fiammeggiante d’oro, caricato dalle lettere IHS, monogramma di Cristo, con la lettera H sormontata da una croce latina patente, il tutto di rosso, e accompagnato da tre chiodi di nero, simbolo della passione – che identifica Nostro Signore Gesù Cristo, figura caricato nel capo dello scudo, mentre in punta, nella destra araldica, appare una stella d’oro a otto raggi, simbolo della Vergine Maria che è la “stella del mattino”. Infine, nella sinistra carica, sempre in punta, il fiore di nardo d’oro, che richiama San Giuseppe, patrono universale della Chiesa, che nella tradizione iconografica ispanica viene, di norma, raffigurato con un ramo di tale fiore in mano. Il nardo, simbolo della purezza, con l’olio profumato che si ricava dalle sue radici, viene ricordato cinque volte nella Bibbia: tre nel “Cantico dei Cantici”, e nei Vangeli di Marco e Giovanni per l’episodio di Maria di Magdala. Quanto ai simboli della dignità pontificia che timbrano lo scudo, in parte sono rimasti uguali a quelli scelti da Benedetto XVI, come la mitria, al posto della tiara – quest’ultima presente negli stemmi papali sino alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II – e le chiavi d’oro e d’argento, poste in decusse, mentre non figura più il pallio, posto sotto la punta dello scudo, dove appare ora, invece, la scritta del motto “atque eligendo vidit”. Anche questa è una novità araldica, perché, di norma, negli stemmi papali non figura riportato il motto che il prelato disponeva, oltretutto, trovando ora la sola iscrizione, non caricata nel previsto cartiglio o lista bifida svolazzante. Il motto è tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: “Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi). Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e nell’itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di San Matteo dell’anno 1953, il giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all’età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, nella Compagnia di Gesù, sull’esempio di Sant’Ignazio di Loyola. Una volta eletto vescovo, mons. Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento che segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio nella Sua Chiesa, decise di scegliere, come motto e programma di vita, l’espressione di San Beda “miserando atque eligendo”, che ha inteso riprodurre anche nello stemma pontificio.