Giacomo Nacchianti (latinamente Jacobus Naclantus), nato a Firenze, domenicano, ne vestì l'abito nel celebre convento di S. Marco. Non è certo se egli sia stato ospite per qualche tempo del convento di S. Domenico di Chioggia, da cui passò poi al collegio della Minerva di Roma, dove insegnò teologia.
Fu nominato da Papa Paolo III vescovo di Chioggia nel 1544, vi prese possesso nell'ottobre dello stesso anno e subito indisse il I Sinodo diocesano. Fu tra i primi ad entrare a far parte dei padri del Concilio di Trento, indetto nel 1542 e iniziato nel 1545 e nel quale egli, come scriv il Razza, "si mostrò uno de' più arditi del suo tempo". Dove si distense la facondia e la preparazione teologica del Nacchianti fu nelle controversie sorte circa il senso della S. Scrittura e della Tradizione, la disciplina dei sacramenti della pienezza e dell'Eucarestia, la partecipazione degli abati al Concilio e la residenza dei vescovi.
Al Nacchianti fu demandata la soluzione dei problemi più ardui, che richiedevano, oltre allo zelo e alla pietà, senno e prudenza. Dopo la IV sessione, egli fece ritorno a Chioggia, "secondo alcuni indispettito per l'opposizione che trovò alle sue idee" (cfr. D. Razza, "Storia popolare di Chioggia", 1898, vol. I) o piuttosto perchè la sua presenza era necessaria in diocesi. Qualche dubbio, non mai provato peraltro, fu sollevato sull'integrità della sua fede, considerato che fu "indagato" dal segretario del general Sinodo, Angelo Massarelli.
Ripreso il Concilio dopo la sospensione del 1549-51, il Nacchianti vi partecipò ancora. Nel 1552 era di nuovo a Chioggia e nel 1554 iniziò la sua seconda visita pastorale. Sospeso ancora il Concilio (1552) e ripreso nel 1562, ancora una volta il Nacchianti vi prese parte, portando il contributo della sua teologica erudizione. Conclusosi finalmente l'assise conciliare il 3 settembre 1563, il Nacchianti ritornò alla sua diocesi, dove si adoperò per metterne in pratica le direttive. A tale scopo tenne in Cattedrale il 30 agosto 1564 il 2° Sinodo. illustrando alcune Costituzioni del Concilio dando disposizioni in merito.
In campo diocesano elimino alcuni abusi introdottisi nel monastero di S. Francesco vecchio, tentò l'esplorazione delle reliquie dei SS. Patroni, eresse nel 1546 le parrocchie di Pettorazza Grimani e Papafava. Non potè dar corso ad una terza visita pastorale, che affidò al suo vicario generale, l'arcidiacono Vincenzo Squarciafico, causa l'aggravarsi dell'infermità che più tardi, il 26 aprile 1569, lo avrebbe portato alla morte.
Fu sepolto come da sua volontà testamentaria, nella vecchia chiesa di S. Domenico, precisamente nel mezzo della cappella di S. Tommaso d'Aquino, da lui donata e fatta erigere. Ricostruita la nuova chiesa, rimasta la cappella fuori dell'edificio religioso, il 18 dicembre 1756 le sue spoglie furono sepolte dietro l'altar maggiore, ove probabilmente ancora riposano.
Il Nacchianti fu autore di molte opere teologiche e di argomento sacro, fra cui: la spiegazione del Qui habitat (la famosa popolare Chiàbita, storpiatura del salmo 90) stampata nel 1551 e l'opera Scripturae medulla arcanorum Christi, in cui dimostra che gli avvenimenti succedutisi in tutte le età del mondo fanno capo alla figura di Gesù Cristo.
Sul Nacchianti hanno scritto inoltre:
Alfredo Mozzato
Sergio Ravagnan