L' Araldica Gentilizia
di Giorgio Aldrighetti





    Sempre nel Regolamento tecnico-araldico, all'art. 35, si recita testualmente: “la corona normale di Patrizio è formata dal solo cerchio.”

Nel seguente art. 36 viene però precisato: “Per quei patriziati per i quali sarà dimostrato con documenti o monumenti di storica importanza che godettero l'uso molto antico di corone speciali, queste, caso per caso, si potranno riconoscere con deliberazione della Consulta Araldica preceduta dal parere della relativa Commissione regionale e sanzionata dal Ministro Presidente. Tali deliberazioni si dovranno pubblicare nella parte ufficiale del Bollettino della Consulta Araldica.
Finora non si riconobbe nessuna Corona speciale patriziale all'infuori che per i Patrizi genovesi che la usano fregiata di quattro fioroni (tre visibili) alternati da quattro perle (due visibili)”.

Per quanto sopra i Patrizi Veneti, con la massima della Consulta Araldica approvata in data 8 giugno 1911 e inserita nel Bollettino Ufficiale del 1924, 4) ottennero l'uso legittimo della antica corona “formata da un cerchio d'oro, gemmato e contornato, sostenente otto fioroni stilizzati (tre e due mezzi visibili) alternati da altrettanti perle (quattro visibili)”.

Tale corona speciale venne poi riportata all'art. 89 del R.D. 7 giugno 1943, n. 652, Regolamento per la Consulta Araldica del Regno.

Nel tempo però anche gli altri patrizi ottennero l'uso di una corona speciale, così descritta all'art. 88 del R.D. 7 giugno 1943, n. 652: “La corona normale di Patrizio è cimata da otto perle (cinque visibili) alternate da otto fioroni abbassati sul cerchio (cinque visibili)”. In effetti, però, i fioroni abbassati visibili sono quattro e non cinque, se si osservano quattro perle.

Non di rado troviamo corone nobiliari che timbrano gli scudi dell'araldica civica, quale segno di vetusti ed insigni privilegi. Valgano gli esempi della città di Torino che timbra il proprio stemma: “d'azzurro al toro furioso d'oro, cornato d'argento”, con una “corona comitale”, avendo tale città il titolo di contessa di Grugliasco e Signora di Beinasco o della città di Venezia che timbra il proprio stemma: “d'azzurro, al leone d'oro, alato e nimbato dello stesso, con la testa posta di fronte, accovacciato, tenente fra le zampe anteriori avanti al petto il libro d'argento, aperto, scritto delle parole a lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE nella prima facciata in quattro righe ed EVANGELISTA MEUS nella seconda facciata, similmente in quattro righe”, con il “corno dogale”, nel ricordo della millenaria Serenissima repubblica di San Marco.

Gli stemmi di "cittadinanza", invece, figurano con lo scudo che carica l'arma di famiglia, timbrato da un elmo d'acciaio brunito, senza collana, con la visiera chiusa e collocato di pieno profilo a destra. A tal proposito ricordiamo che l'Art. 30 dell'Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano, approvato con R. D. 7 giugno 1943, n° 651, così recita: "E' ammesso il riconoscimento di stemmi di cittadinanza a famiglie non nobili, ma di distinta civiltà, che possano provare con documenti autentici o riproduzione di monumenti di goderne da un secolo il legittimo possesso". Si notano, parimenti, anche degli elmi di cittadinanza sormontati da tre, cinque o sette penne ricadenti sul davanti, con i colori degli smalti dello scudo; si incontrano, infine, anche degli elmi sormontati dai lambrecchini, più comunemente chiamati svolazzi, riportanti sempre i colori degli smalti dello scudo.

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