BLASONATURA
“D'azzurro alla barca all'antica, d'oro, munita di un solo albero centrale cimato dalla crocetta, dello stesso, l'albero unito a quattro sartie d'oro, due e due in sbarra ed in banda, e ornato, sotto la crocetta dalla fiamma desinente in tre code, sventolante in banda, d'argento, la barca con due bandiere all'antica a poppa, d'argento, astate d'oro, la barca sostenuta dal mare di azzurro ondato d'argento e accompagnata nel canton destro del capo dalla stella di otto raggi, d'oro; al capo patriarcale di Venezia:
d'argento al leone passante, alato e nimbato, tenente con la zampa anteriore destra il libro aperto recante le parole nella prima facciata, in quattro righe, PAX TIBI MARCE, nella seconda facciata, similmente in quattro righe, EVANGELISTA MEUS, il tutto al naturale, con la scritta in lettere maiuscole romane di nero. Lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d'oro, trifogliata, posta in palo, è timbrato da un cappello con cordoni e nappe di verde. Le nappe, in numero di trenta, sono disposte quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5. Sotto la scudo, nella lista bifida e svolazzante d'argento, il motto in lettere maiuscole di nero: SUFFICIT GRATIA TUA”.
ESEGESI
“Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l'uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l'uomo ha bisogno di segni e simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio”. 1)
“L'araldica è un linguaggio complesso e particolare costituito da una miriade di figure e lo stemma è un contrassegno che deve esaltare una particolare impresa, un fatto importante, un'azione da perpetuare.
Questa scienza documentaria della storia dapprima era riservata ai cavalieri ed ai partecipanti ai fatti d'armi, sia guerreschi che sportivi, che si rendevano riconoscibili grazie allo stemma, posto sullo scudo, sull'elmo, sulla bandiera e anche sulla gualdrappa, rappresentante l'unico modo per distinguersi gli uni dagli altri.
L'araldica dei cavalieri venne quasi subito imitata dalla Chiesa, anche se gli enti ecclesiastici in periodo
L'araldica ecclesiastica al nostro tempo è viva, attuale e largamente utilizzata. Per un prelato, tuttavia, l'uso di uno stemma deve oggi essere definito quale simbolo, figura allegorica, espressione grafica, sintesi e messaggio del suo ministero. Occorre ricordare che agli ecclesiastici fu sempre vietato l'esercizio della milizia e il porto delle armi e per tale motivo non si sarebbe dovuto adottare il termine scudo o arme propri dell'araldica; tuttavia va detto che sino a tempi recenti gli ecclesiastici usavano il loro stemma di famiglia, molto spesso privo di qualunque simbologia religiosa.
La stessa simbologia della Chiesa Romana è attinta dal Vangelo ed è rappresentata dalle chiavi consegnate da Cristo all'apostolo Pietro”. 2)
Nel primo periodo gli stemmi ecclesiastici risultavano con lo scudo timbrato dalla mitria con le infule svolazzanti; con il passare del tempo si consoliderà, invece, alla sommità dello scudo il cappello prelatizio con i cordoni ed i vari ordini di nappe o fiocchi, di diverso numero secondo la dignità, il tutto di verde se vescovi, arcivescovi e patriarchi, il tutto di rosso se cardinali di Santa Romana Chiesa.
Annotiamo, inoltre, che con “L'Istruzione sulle vesti, i titoli e gli stemmi dei cardinali, dei vescovi e dei prelati inferiori” del 31 marzo 1969, a firma del cardinale segretario di Stato Amleto Cicognani, all'art. 28 si recita testualmente: “Ai cardinali e ai vescovi è permesso l'uso dello stemma. La configurazione di tale stemma dovrà essere conforme alle norme che regolano l'araldica e risultare opportunamente semplice e chiaro. Dallo stemma si tolgono sia il pastorale che la mitra”. 3)
Nel successivo art. 29 si precisa che ai cardinali è permesso di far apporre il proprio stemma sulla facciata della chiesa che è attribuita loro come titolo o diaconia.
Gli eccellentissimi e reverendissimi vescovi timbrano, infatti, lo scudo, accollato ad una croce astile semplice d'oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi in numero di dodici sono disposti sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3.
Gli eccellentissimi e reverendissimi arcivescovi timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d'oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi in numero di venti sono disposti dieci per parte, in quattro ordini di 1, 2, 3, 4.
Gli eccellentissimi e reverendissimi patriarchi timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d'oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde.
I fiocchi in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5. 4)
Gli eminentissimi e reverendissimi signori cardinali di Santa Romana Chiesa timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d'oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di rosso. I fiocchi in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.
Infine, l'eminentissimo e reverendissimo signor cardinale camerlengo di Santa Romana Chiesa porta lo scudo con lo stesso cappello degli altri cardinali, ma timbrato dal gonfalone papale, durante munere, ossia durante la sede vacante apostolica. Il gonfalone papale o stendardo papale, chiamato anche basilica, è a forma di ombrellone a gheroni rossi e gialli con i pendenti tagliati a vajo e di colori contrastati, sostenuto da un'asta a forma di lancia coll'arresto ed è attraversata dalle chiavi pontificie una d'oro e l'altra d'argento, decussate, addossate, con gli ingegni rivolti verso l'alto, legate da nastro di rosso.
Gli stessi colori di verde o di rosso vanno usati, altresì, nell'inchiostro dei sigilli e negli stemmi riportati negli atti, quest'ultimi con i previsti segni convenzionali indicanti gli smalti.
L'Antico ed il Nuovo Testamento, la Patristica, i legendaria dei Santi, la Liturgia hanno offerto, nei secoli, alla Chiesa i temi più svariati per i suoi simboli, destinati a divenire figure araldiche.
Quasi sempre tali simboli alludono a compiti pastorali o di apostolato degli istituti ecclesiastici, sia secolari che regolari, oppure tendono ad indicare la missione del clero, richiamano antiche tradizioni di culto, memorie di santi patroni, pie devozioni locali.
GLI SMALTI
Una delle norme fondamentali che regola l'araldica asserisce che chi ha meno ha più, con riguardo alla composizione degli smalti, figure e positure dello scudo.
E l'arme che ora andremo ad esaminare è composta dai metalli oro ed argento e dai colori d'azzurro ed al naturale. Cercare il proprio stemma, quindi, quello vero, da poter innalzare come vessillo, con il quale segnare le proprie carte, comprenderne compiutamente i simboli, non è, in qualche modo, cercare se stessi, la propria immagine, la propria dignità?
Ecco come un atto, che potrebbe essere letto solo formalmente, può acquisire invece un significato simbolico e fortemente pregnante.
D'oro e d'argento, d'azzurro e al naturale, quindi, nello stemma del patriarca Angelo, ma quali simboli racchiudono e sprigionano tali smalti, quali messaggi ne derivano per l'uomo, spesso frastornato, giunto, oramai, al XXI secolo?
I “metalli”, di oro e d'argento, araldicamente rappresentano e ricordano le antiche armature dei cavalieri che, secondo il rispettivo grado di nobiltà, erano appunto dorate o argentate; l'oro, inoltre, è simbolo della regalità divina mentre l'argento allude a Maria.
Il “colore” d'azzurro ricorda, invece, il mare attraversato dai crociati per portarsi in Terra Santa.
Addentrandoci più specificatamente nel simbolismo araldico degli “smalti”, ricordiamo che fra i “metalli”, l'oro rappresenta la Fede fra le virtù, il sole fra i pianeti, il leone nei segni zodiacali, luglio fra i mesi, la domenica fra i giorni della settimana, il topazio fra le pietre preziose, l'adolescenza sino ai vent'anni fra le età dell'uomo, il girasole fra i fiori, il sette fra i numeri e se stesso fra i metalli; l'argento rappresenta la Speranza fra le virtù, la luna fra i pianeti, il cancro nei segni zodiacali, giugno fra i mesi, il lunedì fra i giorni della settimana, la perla fra le pietre preziose, l'acqua fra gli elementi, l'infanzia sino a sette anni fra le età dell'uomo, il flemmatico fra i temperamenti, il giglio fra i fiori, il due fra i numeri e se stesso fra i metalli.
Fra i “colori”, invece, l'azzurro, smalto tipicamente mariano, rappresenta la Giustizia fra le virtù, giove fra i pianeti, il toro e la bilancia nei segni zodiacali, aprile e settembre fra i mesi, il martedì fra i giorni della settimana, lo zaffiro fra le pietre preziose, l'aria fra gli elementi, l'estate fra le stagioni, la fanciullezza sino ai quindici anni fra le età dell'uomo, il collerico fra i temperamenti, la rosa fra i fiori, il sei fra i numeri e lo stagno fra i metalli.
Ricordiamo, inoltre, che con il termine “al naturale” intendiamo tutte quelle figure che, caricate nello scudo, conservano il loro originario colore; nel nostro caso il leone marciano caricato al capo.
Ci preme evidenziare che fu necessario, altresì, creare dei segni convenzionali per comprendere ed individuare gli “smalti” dello scudo, quando lo stemma risulta riprodotto nei sigilli e nelle stampe in bianco e nero. Così gli araldisti, nel tempo, usarono vari sistemi; ad esempio, scrissero nei vari campi occupati dagli smalti, l'iniziale della prima lettera corrispondente al colore dello smalto, oppure individuarono i colori con l'iscrivere le prime sette lettere dell'alfabeto o, ancora riprodussero, sempre nei campi dello smalto, i primi sette numeri cardinali. Nel XVII secolo, l'araldista francese Vulson de la Colombière propose, invece, dei particolari segni convenzionali per riconoscere il colore degli smalti negli scudi riprodotti in bianco e nero. L'araldista padre Silvestro di Pietrasanta della Compagnia di Gesù, per primo, ne fece uso nella sua opera Tesserae gentilitiae ex legibus fecialium descriptae, diffondendone, così, la conoscenza e l'uso.
Tale sistema di classificazione, tuttora usato, identifica il rosso con fitte linee perpendicolari, l'azzurro con orizzontali, il verde con diagonali da sinistra a destra, il porpora con diagonali da destra a sinistra, il nero con orizzontali e verticali incrociate, mentre l'oro si rende punteggiato e l'argento senza tratteggio.
Per rappresentare il colore “al naturale” alcuni araldisti prevedono altri segni convenzionali, ma intendiamo sposare la tesi dell'araldista Goffredo di Crollalanza dove, per il colore “al naturale”, dopo aver ricordato che si può porre sopra metallo e sopra colore indifferentemente, senza ledere la legge della sovrapposizione degli smalti, chiarisce che si esprime nei disegni lasciando in bianco il pezzo e ombreggiando la figura nei luoghi acconci. 5)
Dello stesso avviso è stato anche l'insigne araldista arcivescovo Bruno Bernard Heim, che negli stemmi pontificali dei Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I da Lui ideati, in quelli riprodotti in bianco e nero, nel capo patriarcale di Venezia raffigura il leone marciano senza alcun segno convenzionale, alla presenza di un capo tra i più famosi e belli.
LE FIGURE
La barca araldicamente simboleggia l'animo forte che resiste ai pericoli ed alle avversità della vita.
“La nave anticotestamentaria della salvezza fu l'arca, in cui Noè si salvò dal diluvio insieme ai suoi. (…) In linea generale la nave è un simbolo del viaggio, del passaggio, sia per i vivi sia anche per i morti. Il sentiero della nave in alto mare è uno dei quattro eventi che l'uomo non può comprendere (Pr 30,19), riferimento simbolico al cammino della vita umana attraverso le ingiustizie di questo mondo. Della massima importanza per la successiva attribuzione simbolica è stata la barca di Pietro.
Un giorno Gesù, mentre si trovava presso il lago di Genesaret, salì su una barca attraccata vicino alla riva, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca (Lc 5,3). Da questa barca, come dall'altra, guidata da Pietro nella tempesta (Mt 8,23-27; 14,24-34), è derivata la concezione della navata della chiesa, alla quale hanno contribuito anche le parole di Gesù sui pescatori di uomini (Mt 4,19; Mc 1,17). A Paolo era consueto il paragone della vita come un viaggio per nave; chi ripudia la fede e la buona coscienza farà naufragio, non raggiungerà cioè il vero scopo della vita (1Tm 1,19). Anche la speranza viene adombrata con un simbolo nautico, come un'ancora della nostra vita, sicura e salda (Eb 6,19).
Con immagini che ritornano di continuo, i Padri della Chiesa descrivono la nave della Chiesa, su cui il credente viaggia sicuro attraverso il mare del mondo. Nell'esperto timoniere Ippolito vede Cristo, nell'albero maestro la croce, nei due timoni i due testamenti, nella bianca vela lo Spirito Santo. Si incontra anche l'interpretazione secondo cui la nave nel suo insieme è un simbolo di Cristo crocifisso. Come nella costruzione della nave sono stati impiegati tre diversi tipi di legno, così vari esegeti parlano del triplice legno della croce. Senza la nave (di legno, tenuta insieme dai chiodi) non si può navigare il mare, e senza che Cristo sia inchiodato alla croce di legno non si può vincere il male di questo mondo. In epoca protocristiana, una colomba col ramo d'ulivo associata alla nave simboleggia l'anima che ha trovato la pace (… Il mosaico di Giotto con la navicella nell'atrio di san Pietro a Roma rappresenta la nave della Chiesa sul mare in tempesta)”. 6)
Ricordiamo, infine, che la barca caricata nello scudo del primitivo stemma del patriarca Angelo deriva dal sigillo di Elbing (1350). 7) La croce, presente alla sommità dell'albero della barca nello stemma del patriarca Angelo, è considerata la più antica tra le pezze onorevoli nell'araldica. Nasce dalla sovrapposizione di un palo ad una fascia ed è la figura maggiormente rappresentata negli scudi. La croce assunse nel tempo le forme più svariate e le colorazioni più disparate, quali l'aguzza, l'ancorata, l'anguifera, di Avellana, la bordonata, del calvario, a chiave, la forcuta, la gigliata, la latina, la greca, la ottagona, la patente, la patriarcale, la pomata, la ricerchiata, la ricrociata, la ritrinciata, la scalinata, la scorciata, di Santo Spirito, la ramponata, la stellata, la trifogliata. Il “decusse”, chiamato anche “croce di Sant'Andrea” o “traversa”, è la pezza che nasce, invece, dalla sovrapposizione di una banda ad una sbarra.
“Fra le interpretazioni simboliche della croce va messa in particolare evidenza quella della lettera agli Efesini (2,16): per mezzo della croce vengono riconciliate due parti contrapposte, il che in definitiva non vale soltanto per due epoche o due indirizzi della fede, ma anche per cielo e terra. Le quattro dimensioni della croce alludono all'universalità della salvezza; in riferimento alla crocifissione Gesù dice: Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me (Gv 12,32).
In primo luogo la croce è segno di morte; Gesù è morto per tutti (2 Cor 5,14), ovvero con la sua morte il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui (Rm 6,6).
L'ambivalenza della croce la fa però anche divenire simbolo della redenzione, e quindi della vita. Con il sangue della sua croce Cristo rappacifica e riconcilia tutte le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli (Cl 1,20). Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui (Rm 6,8). Per i credenti la croce è segno della potenza di Dio, mediante la quale essi sono salvati (1Cor 1,18).
Essa è l'ultimo e supremo segno di vittoria. Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo (Gal 6,14). La disponibilità a portare la croce – un precetto per i discepoli del Signore – è immagine della rinuncia al proprio io: Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà (Mc 8,35). Alla fine dei tempi comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo (Mt 24,30).
Già i Padri della Chiesa cercarono dei testi dell'Antico Testamento da applicare in senso tipologico alla croce di Cristo. Così, ad esempio, Giustino martire riferisce alla croce l'albero della vita di Gen 2,9. Melitone di Sardi fu il primo a scorgere nel sacrificio del figlio di Isacco richiesto ad Abramo (Gen 22) un tipo del sacrificio di Cristo sulla croce. Efrem Siro raccomandò la croce come segno di vittoria sugli spiriti malvagi. In Gregorio di Nissa e Agostino si trova già un'interpretazione cosmologica della forma della croce. L'uomo con le braccia aperte – uno dei più antichi gesti di preghiera (cfr. Es 17,11) – divenne, in prospettiva simbolica, immagine della croce e del crocifisso. Già molto presto durante il battesimo veniva apposto il sigillo del nome di Cristo mediante una croce tracciata sulla fronte; secondo Ap 7,3 questo segno di croce è propriamente il sigillo dei servi di Dio. Durante la posa della prima pietra di una chiesa, sul luogo del futuro altare viene eretta una croce di legno. La pianta a forma di croce di numerose chiese (navata principale a transetto) viene interpretata, fin dall'inizio del secolo XIV, come immagine del crocifisso, che con le braccia aperte comprende tutto il mondo. (…) Tutta la letteratura e l'arte del medioevo dimostrano che nella fede cristiana la croce storica continua ad agire in senso soteriologico, in quanto segno dell'attualità della salvezza, e in senso escatologico, in quanto segno della speranza di salvezza. La croce, segno rappresentativo del Cristo quale Signore risorto e innalzato, a partire dal secolo XI si trova sempre sopra l'altare delle chiese”. 8)
Le tre bandiere, caricate sulla barca, simboleggiano la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.
La stella araldicamente rappresenta la mente rivolta a Dio, la finezza d'animo e azioni sublimi. Nell'araldica ecclesiastica la stella maggiormente usata è quella ad otto punte che simboleggia il Salvatore, pur riscontrandosi anche scudi prelatizi con stelle a sei punte. Ricordiamo, anche, che la stella ad otto punte o ottagona rappresenta le otto beatitudini evangeliche.
“Nelle armi si vede un gran numero di stelle che possono essere a cinque, sei, otto, fino a sedici raggi. Ordinariamente le stelle a cinque raggi sono più comuni in Francia, in Spagna, in Inghilterra, nel Belgio e in Polonia; quelle a sei in Germania ed in Olanda. In Italia si trovano spesso di tutte e due le sorti. Quelle di sette o più raggi sono meno usate. (...) Le stelle sono fra le figure più diffuse dell'araldica; ed è naturale che una figura sì bella e da tutti conosciuta sia stata adottata da tante famiglie. In Lombardia e Toscana erano un tempo contrassegno dei Guelfi; mentre in Romagna tre stelle in capo dimostravano che il possessore dell'arma era Ghibellino”. 9)
“Le armi portano con frequenza questo corpo celeste. Una stella fu guida sicura al nato Redentore, un'altra è sicura indicazione della strada a chi conduce la nave nella notte, due fatti che dovevano imporsi alla fantasia degli uomini quando vollero rappresentare la guida sicura verso il sicuro arrivo al porto spirituale od a quello materiale. Le stelle che splendono nel cielo della notte sono milioni di soli, altro simbolo di chi aspira a cose superiori, ad azioni sublimi. Avanti che sorga il sole, annunciatrice di questo e della luce, del giorno, della sua operosità, è la stella chiamata dagli antichi Lucifero, altra figurazione indicativa del luminoso avvenire auspicato alla propria discendenza”. 10)
“Fra gli astri ha sempre trovato particolare considerazione la stella del mattino, che annuncia la luce del sole, continuamente vittoriosa sull'oscurità della notte. (…) Le luci del cielo ubbidiscono alla legge del Creatore, e insieme ai figli di Dio gioiscono in coro le stelle del mattino (Gb 38,7). Ma un essere ha voluto porsi sullo stesso piano di Dio, e cioè Lucifero: Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell'aurora?. Isaia in realtà in questo testo (14,12-13) si riferisce al re di Babilonia, il cui titolo era figlio dell'aurora, che col suo orgoglio imperiale voleva dimorare sul monte dell'assemblea, cioè nel cielo, sfidando Dio stesso. Il passo sarà poi dalla tradizione successiva giudaica e cristiana applicato agli angeli ribelli e al loro capo, chiamato appunto Lucifero, cioè stella del mattino. La stella mattutina della fine dei tempi è Cristo. Pietro ricorda ai fedeli la parola dei profeti, che come una lampada brilla in luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori (2Pt 1,19). Lo stesso Figlio dell'uomo nell'Apocalisse proclama in se stesso l'adempimento di tutte le promesse con questa immagine: Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino (22,16). Secondo sant'Ambrogio, a ragione Cristo è definito stella del mattino; infatti come questa al suo sorgere mattutino dà splendore al mondo, così anche Cristo, quando è venuto sulla terra, ne ha pienamente illuminato il volto. Con l'invocazione Ave, maris stella (Ti saluto, stella del mare), l'inno della Chiesa esalta la Madre di Dio, che sta al fianco dell'uomo, indicandogli la via. Dato che nella sua esistenza storica essa precede il sole Cristo, come l'aurora precede la luce del sole, così Maria diviene la stella del mattino, stella mattutina, delle litanie lauretane”. 11)
“Nel cielo notturno le stelle testimoniano la maestà del Creatore; egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome (Sal 147,4). Le stelle brillano di gioia per colui che le ha create (Bar 3,35). Esse possono divenire immagine della gloria celeste, ornamento splendente nelle altezze del Signore (Sir 43,9). Dio stesso le ha mostrate al patriarca Abramo come simbolo della sua progenie: Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle…Tale sarà la tua discendenza (Gen 15,6). Nel sogno di Giuseppe (Gen 37,9) le undici stelle sono probabilmente i segni dello zodiaco come simbolo delle dodici tribù d'Israele; Giuseppe stesso è la dodicesima stella. Nella visione di Daniele (12,3) i saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre. Come combattenti per il diritto divino, dal cielo le stelle danno battaglia contro il generale Sisara (Gdc 5,20). Il sapiente Balaam, che ode le parole di Dio e conosce la scienza dell'Altissimo, dichiara riguardo a Giuda: Io lo vedo, ma non ora, io contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe (Nm 24,17). E' noto che questo testo è stato letto in chiave messianica dalla successiva tradizione. Ma gli israeliti sono esplicitamente ammoniti perché, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto l'esercito del cielo, non siano trascinati a prostrarsi davanti a quelle cose e a servirle (Dt 4,19).
La venuta di Cristo sulla terra è annunciata ai magi d'Oriente da una stella (Mt 2,2). Quale quintessenza del cosmo Giovanni vede sette stelle nella destra del Figlio dell'uomo (Ap 1,16), le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese (Ap 1,20), ma le sette Chiese simboleggiano la Chiesa universale. In linea generale, le stelle sono simbolo dell'armonia cosmica creata da Dio, quale si manifesta all'uomo nel ciclo dello zodiaco; nella corona di dodici stelle sul capo della donna apocalittica (Ap 12,1) viene adombrato appunto lo zodiaco. Le stelle divengono infine immagine del giudizio divino, come quando l'Apocalisse (8,10s) parla della grande stella di nome Assenzio, che cade dal cielo ardente come una torcia. Ad un astro fu data la chiave del pozzo dell'Abisso; da questo uscirono cavallette dall'aspetto di cavalli; esse tormentavano gli uomini che non avevano il sigillo di Dio sulla fronte (Ap 9,1-12).
Nella sua prima lettera ai Corinzi (15,41s), Paolo fa un paragone con gli eletti: sole, luna e stelle non risplendono allo stesso modo: Ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti.
Nelle sculture sui sarcofaghi del primo cristianesimo, sulle lampade e sulle gemme, le stelle simboleggiano l'eterna beatitudine. La stella a sei punte è spesso nell'arte un simbolo mariano; i due triangoli che si intersecano alludono al ruolo di Maria, mediatrice fra cielo e terra”. 12)
Evidenziamo, a tal punto, che per la stella a sei punte, meglio conosciuta come stella di David, formata da due triangoli equilateri che hanno lo stesso centro e che risultano piazzati in opposte direzioni, si tramanda fosse la figura che adornava lo scudo del re David. Una diversa interpretazione le attribuisce, invece, un significato cabalistico. 13)
“La stella che simboleggia Cristo (stella di Natale) ha otto punte e nella sua quaternità è già un preannuncio della croce.” 14)
Il mare araldicamente simboleggia la clemenza, la generosità e la Grazia divina.
“Dopo la creazione del cielo e della terra, le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gen 1,2). Dio ha fondato la terra sui mari, e sui fiumi l'ha stabilita (Sal 24,2). Non solo il cielo dall'alto, ma anche l'abisso nel profondo può divenire un'immagine di benedizione divina (Gen 49,25). (…) Il mare è un'immagine spesso usata per il costante agitarsi dei popoli. Ah, il rumore di popoli immensi, rumore come il mugghiare dei mari (Is 17,12). Dio solo è in grado di far tacere il fragore del mare, il fragore dei flutti, di placare il tumulto dei popoli. Le acque presso cui l'autore dell'Apocalisse vide sedere la grande Prostituta, simboleggiano popoli, moltitudini, genti e lingue (Ap 17,15). Quando nelle parabole di Gesù il regno dei cieli è paragonato a una rete gettata nel mare (Mt 13,47) e gli apostoli a pescatori di uomini (Mc 1,17), il mare viene usato indirettamente come immagine del mondo, come l'insieme dell'umanità. (…) Già in epoca protocristiana incontriamo l'immagine della nave della Chiesa nel mare del mondo”. 15)