E' opportuno, a tal punto, evidenziare che anche diverse diocesi, capitoli, confraternite, monasteri, ospedali, in quanto istituzioni ecclesiastiche, possedevano propri stemmi, che, per la maggior parte, si usano ancora.
Ricordiamo, di conseguenza, che il patriarcato di Venezia, usa lo stemma “d'argento al leone passante, alato e nimbato, tenente con la zampa anteriore destra il libro aperto, scritto delle parole a lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE nella prima facciata in quattro righe, ed EVANGELISTA MEUS nella seconda facciata, similmente in quattro righe, il tutto al naturale”, come giustamente osservano Giacomo Bascapè e Marcello del Piazzo, 13) mentre, l'arme dell'arcidiocesi di Gorizia e Gradisca, presente nel palazzo arcivescovile di Gorizia, così si blasona: “Partito: nel primo di nero alla croce trifogliata a tre traverse, d'argento; nel secondo della contea di Gorizia: trinciato: a) d'azzurro al leone d'oro; b) d'argento a due sbarre di rosso; al capo d'oro all'aquila spiegata di nero, caricata in cuore dello scudetto d'Austria: di rosso alla fascia d'argento, e dalle lettere d'oro M F caricate nell'ala destra e T I nell'ala sinistra, poste in palo. Lo scudo, accollato ad una croce astile semplice d'argento, trifogliata, posta in palo, è timbrato da un cappello con cordoni e nappe (fiocchi) di verde. I fiocchi, in numero di venti, sono disposti dieci per parte, in quattro ordini di 1, 2, 3, 4. Accollato allo scudo, un padiglione di velluto rosso, soppannato di ermellino, bordato con frange d'oro, annodato ai lati, in alto, con cordoni d'oro, con il colmo timbrato dalla corona di principe del S. R. I”.
E' doveroso, però, osservare che, nel dipinto, la croce non doveva essere smaltata d'argento e ad una traversa, bensì d'oro e a due traverse, trattandosi di insegna arcivescovile.
Giacomo Bascapè e Marcello del Piazzo, 14) sempre per l'arcivescovado di Gorizia e Gradisca, insignito del principato del Sacro Romano Impero, riportano, invece, la seguente blasonatura dello scudo: “Partito: nel primo (di rosso) alla croce a tre traverse, d'argento; nel secondo della contea di Gorizia: trinciato: a) d'azzurro al leone d'oro coronato dello stesso; b) sbarrato d'argento e di rosso col capo d'Aquileia (d'azzurro all'aquila d'oro)”.
Ricordiamo, ora, che gli elmi non dovevano figurare nell'Araldica Ecclesiastica, ma la libertà di pittori e di incisori li pose, seppur raramente, specialmente sugli scudi episcopali.
Annotiamo, infine, come già ricordato, che con “L'Istruzione sulle vesti, i titoli e gli stemmi dei cardinali, dei vescovi e dei prelati inferiori” del 1969, 15) a firma dal Em.mo sig. cardinale segretario di Stato Amleto Cicognani, all'art. 28 si recita testualmente: “Ai cardinali e ai vescovi è permesso l'uso dello stemma. La configurazione di tale stemma dovrà essere conforme alle norme che regolano l'araldica e risultare opportunamente semplice e chiaro. Dallo stemma si tolgono sia il pastorale che la mitra”. Nel successivo art. 29 si precisa che ai cardinali è permesso di far apporre il proprio stemma sulla facciata della chiesa che è attribuita loro come titolo o diaconia.
Per quanto sopra riportato, ne consegue che, l'uso dello stemma compete solo al Sommo Pontefice ed ai cardinali, patriarchi, arcivescovi e vescovi.
Ci auguriamo, invece, che l'uso dello stemma venga legalmente permesso anche all'abate territoriale, in forza del can. 368 dell'attuale Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983, che assimila l'abbazia territoriale alle diocesi e del can. 370 che, per l'abbazia territoriale, recita che è una determinata porzione del popolo di Dio, circoscritta territorialmente, la cura della quale viene affidata, per circostanze speciali, ad un Abate che la governa a modo di Vescovo diocesano, come suo pastore proprio.