Araldica
Civica
di
Giorgio
Aldrighetti
Le insegne della
Provincia di
Venezia
Nel 1935 il Preside (dal 1929 così, infatti, si chiamerà il Presidente dell'Amministrazione Provinciale) indirizzò una lettera al Comune di Venezia, ai Comuni capoluogo di mandamento e ad altri Comuni, sempre della Provincia di Venezia, del seguente tenore: “Quest'Amministrazione ha in istudio la preparazione di un nuovo stemma della Provincia di Venezia da sottoporre all'approvazione reale. Il progetto comprende la riproduzione, nel gonfalone della Provincia, degli stemmi della Città capoluogo, dei Comuni capoluogo di mandamento e di alcuni Comuni minori, anche se ora aggregati ad altri, i quali hanno origini antiche e gloriose. Mi rivolgo perciò alla S.V. per pregarla di volermi inviare, anche in visione, copia dello stemma di cotesto Comune. In mancanza di una copia riprodotta nei colori originali, gradirò una copia a stampa dello stemma, con la descrizione e l'indicazione dei colori. In attesa, ringraziando, con osservanza, IL PRESIDE”. 21)
A seguito delle varie risposte pervenute dai Comuni, il gonfalone della Provincia di Venezia “venne istituito con deliberazione del Rettorato (dal 1929, infatti, la Giunta Provinciale così si chiamerà) il 26 dicembre 1936 in sostituzione del vecchio deteriorato dal tempo. Opera finissima eseguita dal laboratorio femminile del Comitato provinciale orfani di guerra. Su fondo rosso laborato da pregevoli arabeschi d'oro, inquadrato dagli stemmi seguenti: nel mezzo, lo stemma della provincia col leone marciano; sul lato destro, dagli stemmi di San Donà di Piave, di Chioggia, di Noale, di Mirano, di Dolo e di Concordia Sagittaria; sul lato sinistro, dagli stemmi dei comuni di Portogruaro, di Cavarzere, di Caorle, di Malamocco e di Jesolo; sopra, al centro, dallo stemma del comune di Venezia; sotto, al centro, dallo stemma del comune di Mestre”, come si evince sempre dal testo La Provincia di Venezia 1797 – 1968. 22) .
Ma la Provincia di Venezia, pur adottando il gonfalone, non si premurò di richiederne il riconoscimento a Roma.
La prima norma che parla, infatti, dei gonfaloni la troviamo nell'Ordinamento dello stato nobiliare italiano, approvato con il R.D. 21 gennaio 1929, n. 61, dove all'art. 39, 3° comma, così si recita: “La forma degli antichi Gonfaloni non potrà essere modificata. La Consulta determinerà la forma di quelli di nuova concessione”.
Eguali prescrizioni si ritrovano anche nell'Ordinamento dello stato nobiliare italiano approvato con il R.D. 7 giugno 1943, n. 651, dove all'art. 31 si ribadisce: “Gli stemmi e i gonfaloni storici delle Provincie e dei Comuni non possono essere modificati. Il Commissario del re determina la forma di quelli di nuova concessione”.
Ed infine l'art. 5 del vigente R.D. 7 giugno 1943, n. 652, Regolamento per la Consulta Araldica del Regno, prescrive la forma come segue: “… i gonfaloni storici delle Provincie… non possono essere modificati. Il Commissario del re determina la foggia di quelli di nuova concessione, avvertendo che il gonfalone non può mai assumere la forma di bandiera ma deve consistere in un drappo quadrangolare di un metro per due, del colore di uno o di tutti gli smalti dello stemma, sospeso mediante un bilico mobile ad un'asta ricoperta di velluto dello stesso colore, con bullette poste a spirale, e terminata in punta da una freccia, sulla quale sarà riprodotto lo stemma e sul gambo il nome della provincia… . Il drappo riccamente ornato e frangiato sarà caricato nel centro dello stemma della Provincia… sormontato dall'iscrizione centrata 'Provincia di…'. La cravatta frangiata dovrà consistere in nastri ricolorati dai colori nazionali”.