Araldica Civica
di Giorgio Aldrighetti





    Ci permettiamo ora di analizzare tale emblema sotto l'aspetto araldico, esaminando anche se le diverse figure che lo compongono siano tratte dal patrimonio iconologico e simbolico del nostro Paese.

Abbiamo usato il termine “emblema” e non “stemma” o “arme” perché l'emblema della repubblica non si può chiamare per la scienza araldica, stemma, mancando lo scudo, sul quale vanno caricati gli smalti e le figure né tanto meno arme mancando, oltre allo scudo, qualsivoglia ornamento esteriore araldico.

Quanto alla “stella”, alcuni studiosi la collegano alla 'bella stella' che adornava il capo di una bellissima donna vestita con abiti sontuosi, sedente sopra un globo, con nella mano destra uno scettro e nella sinistra una cornucopia, la testa coronata da torri e muraglie, sormontata da una fulgida stella, come appare nella Iconologia di Cesare Ripa (1560 - 1625), dove, appunto, l'Italia viene descritta e rappresentata allegoricamente come una donna formosa.

La stella a cinque punte, come noto, rappresenta il cosiddetto stellone d'Italia, largamente impiegato nel secolo scorso, in tutta la simbologia risorgimentale, spesso con la “spera”, ossia con raggi aggiunti tra le cinque punte, nella grande arme dello Stato e in numerosissimi emblemi di associazioni patriottiche e sodalizi.

Infatti, nello stemma del Regno d'Italia sanzionato dalla Consulta Araldica con deliberazione del 4 maggio 1870, che regolamenta “gli ornamenti esteriori dello Stemma dello Stato”, 13) la stella a cinque punte con la spera è posta sopra il colmo del padiglione reale, nell'assurda ed incomprensibile posizione di capovolta.

Nel nuovo stemma dello Stato “non vengono peraltro abbandonati gli ornamenti sino allora in uso, con riferimento alla dinastia (i leoni, tradizionali sostegni dello scudo sabaudo) o alla nazione (le bandiere tricolori); essi vengono fusi insieme, in quanto lo scudo pieno di Savoia viene sostenuto sì da due leoni, ma 'essi leoni tenenti cadauno un guidone reale italiano' (cioè un tricolore con lo stemma sabaudo nel bianco) 'a lungo fusto, svolazzanti all'infuori'. Inoltre, posto lo scudo sotto un manto reale, movente dall'elmo cimato con la corona reale, ma ponendo il tutto a sua volta sotto un padiglione, il colmo di questo, ai cui lati garriscono, grazie al 'lungo fusto', i tricolori sostenuti dai leoni, si presenta libero per accogliere un nuovo simbolo: 'una stella a cinque punte' (ahimè capovolta) 'd'argento, radiante d'oro'. Fa così ingresso nell'araldica ufficiale dello Stato italiano lo 'stellone d'Italia' ”. 14)

Vale la pena, al proposito, riportare anche l'annotazione di Aldo Pezzana, Presidente di sezione del Consiglio di Stato: “Solo nel 1890 si sentì, per iniziativa del Commissario del Re presso la Consulta Araldica, barone Antonio Manno, (storico ed insigne araldista), la necessità di mettere ordine negli stemmi e nei sigilli introdotti di fatto dopo il 1861, riconducendoli alle tradizioni araldiche e facendo scomparire il cosidetto 'stellone d'Italia', e cioè una stella a cinque punte, capovolta (ma in araldica le figure capovolte sono segno di fellonia!), introdotta (forse per influenza massonica) subito dopo l'Unità sopra il padiglione sormontante lo stemma dello Stato. Lo stemma venne descritto con il R.D. 1° gennaio 1890 (non pubblicato nella Gazzetta Ufficiale in quanto si volle sottolineare che il Re agiva quale Capo della Dinastia più che dello Stato), mentre lo stemma di Stato fu stabilito con il R.D. 27 novembre dello stesso anno”. 15)

Ladislao de Laszloczky, membro effettivo dell'Accademia Internazionale d'Araldica, ancora scrive: “Appena nel 1890, a quasi trent'anni dalla proclamazione del Regno d'Italia, vengono regolamentati per regio decreto sia gli stemmi della famiglia reale che quelli dello Stato”.

“A ciò risulta determinante l'opera della Consulta araldica, ristrutturata con r. d. 11 dicembre 1887, n. 5138, presso la quale l'incarico di commissario del re si trova affidato al barone Antonio Manno, storico e profondo conoscitore dell'araldica”.

“Questi, rimanendo in carica per circa vent'anni, lascerà un'impronta duratura: gli saranno infine dovuti anche il 'Regolamento tecnico araldico' (1905) ed il 'Vocabolario araldico ufficiale' (1906)”.

“Con il decreto del 1° gennaio 1890 - significativamente non pubblicato nella Gazzetta ufficiale, a sottolineare, nonostante la controfirma del presidente del Consiglio dei ministri, l'autonomia del sovrano dall'ordinamento dello Stato come capo della Casa reale - viene fissato innanzi tutto,(...) lo stemma del re”. 16)

“Successivamente, il 27 novembre dello stesso anno, il presidente del Consiglio dei ministri (dall'agosto 1887 Francesco Crispi) sottopone alla firma del re il decreto n. 7282, serie 3, che regola la foggia e l'uso dello stemma dello Stato, accompagnandolo con un'apposita relazione”. 17)

La doverosa 'correzione' del barone Antonio Manno, con l'eliminazione della stella a cinque punte capovolta dall'arme sabauda, diede luogo ad: “una vivace discussione alla Camera, il 4 marzo 1893 (ma l'interpellanza Stelluti - Scala che la promuove è del novembre precedente), discussione non priva d'ilarità, ove l'interpellante censura la scomparsa dallo stemma dello Stato della 'stella d'Italia', ch'egli ricollega tanto al motto di Carlo Alberto 'j'attends mon astre', che alla 'stella' di Giuseppe Mazzini e di Giuseppe Garibaldi, dipinta sui quadri, scolpita sui marmi e sui bronzi dei loro cento monumenti”. 18)

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