Araldica negli altri
Stati
“Quando gli eserciti crocesignati, attraversato lo stretto del Bosforo, approdarono in Terrasanta, i capitani addivennero immediatamente alla risoluzione che non era possibile mantenere la sola distinzione della croce per tutto l'esercito. Si rendeva necessario quantomeno distinguere i corpi dell'armata per nazionalità e così i vari eserciti assunsero la croce diversamente colorata: quello italiano l'ebbe azzurra; quello tedesco nera od oro; quello francese rossa (e poi bianca); quello inglese bianca (e poi rossa); i fiamminghi ed i sassoni verde, ecc.
Questa differenziazione si rivelò presto insufficiente: nel clangore della battaglia, nel turbinio della lotta, bisognava sapere con certezza quali cavalieri si distinguevano per coraggio, o quelli che al contrario, evitavano il combattimento per viltà o, ancora, chi fossero quelli catturati o feriti o che perdevano la vita nella tenzone.
Fino a quel momento gli elmi a bacinetto, lasciando scoperto il viso, pur con qualche difficoltà permettevano il riconoscimento del cavaliere, ma quando cominciarono ad essere usati gli elmi a becco di passero, a celata, a cancello, non vi fu modo di individuare il combattente. Si pensò allora di porre un segno distintivo per ciascun cavaliere; un simbolo che fosse adottato esclusivamente da un guerriero, il quale da quel momento sarebbe stato identificato a mezzo delle insegne che portava sul suo scudo, sull'elmo, sulla sopravveste o sulla gualdrappa del proprio cavallo. Per far ciò si rispolverarono gli antichi elementi che esprimevano le famiglie, cioè quei simboli che ancora non costituivano uno stemma e che, è il caso di dirlo, furono riciclati con un intento preciso, definito, creando così un legame indissolubile tra il cavaliere ed il suo simbolo; un binomio che diede origine all'araldica, la quale venne a porre ordine in un complesso e variopinto universo simbolico.
Non tutti i cavalieri disponevano di insegne di famiglia e per questo si pensò di caricare lo scudo intonso, il cosiddetto ' scudo di aspettazione' con gli elementi che si ritennero via via più pertinenti ed opportuni.
Il cavaliere vittorioso in battaglia aveva il diritto di fregiarsi delle insegne catturate al nemico vinto, ponendole sul proprio scudo. Era sufficiente un'azione vittoriosa per aver titolo a prendere i segni della vittoria: conquistando le mura di un castello si poteva inserire nello scudo la figura della torre o della cinta merlata, o della scala che era servita a salire sugli spalti per espugnare la fortezza.
Come le imprese militari, anche quelle amorose costituivano elemento di distinzione: i cuori spesso facevano bella mostra sullo scudo del cavaliere innamorato, così come le rose (od altri fiori), le colombe, le fiamme, la fornace, le frecce: tutti simboli dell'amore ardente. Spesso il colore del velo o del fazzoletto di una damigella che, da spettatrice, partecipava ad un torneo, ad una giostra, finiva a connotare lo scudo di qualche cavaliere ancora alla ricerca del distintivo araldico definitivo.
Ben presto però le figure in uso, pur se assai numerose, non furono più sufficienti ad esprimere il moltiplicarsi dei cavalieri, e si dovettero perciò creare nuove forme di distinzione. La croce assunse allora le forme più svariate e le colorazioni più disparate e, nel blasone, cominciarono ad entrare nuove figure quali draghi, unicorni, sirene, grifoni, animali fantastici e mostruosi che verranno successivamente definiti chimerici.
Moltiplicando le figure si cominciò ad esempio ad usare la 'fascia' la quale, con questo nome, venne a lungo indicata anche quando assunse posizioni diverse da quella orizzontale, indicate poi in 'palo', 'banda', 'sbarra', dando origine alle 'pezze onorevoli', così definite in quanto furono le più antiche.
Con il trascorrere del tempo altre figure si aggiunsero a quelle in uso e si cominciò a fare ricorso alle 'partizioni' che raccoglievano nello scudo più elementi”. 4)
Ricordiamo infine che le città, ai tempi del feudalesimo, non possedevano stemmi, ma rendendosi indipendenti, ad iniziare dal XII secolo, alzarono uno stemma, generalmente concesso dall'imperatore o dal vescovo, per lo più ai liberi Comuni.
LO SCUDO
“L'araldica inventa le bizzarre divisioni dello scudo, crea immagini fantastiche, ricerca nella mitologia, nella storia, nell'archeologia, nel costume dei popoli per trarne figure allusive a nomi e ad avvenimenti, e traccia con segni emblematici sugli scudi delle famiglie, delle città e delle nazioni le vicende, le appellazioni, i titoli e le particolarità di esse, servendosi di un mezzo conosciuto da tutti i popoli, il simbolo.
Dopo l'invenzione dell'armi gentilizie, gli araldi o re d'armi ebbero ufficio di conoscere tutte le usanze e tutte le leggi che lo regolavano, studiare i diritti della nobiltà, impedire le usurpazioni, conservare i registri genealogici e gli armoriali, e gridare la descrizione delle insegne di quei cavalieri che, presentandosi a combattere in un torneo, suonavano il corno per chiamare gli araldi stessi, onde venissero a riconoscere il loro stemma. Dal tedesco blasen (suonare il corno) provenne la voce blasone. Questa etimologia, che è la più generalmente adottata dagli araldisti, non è peraltro accertata; altre ne furono proposte, ma tutte egualmente dubbie.
Il blasone è la scienza che insegna a decifrare le armi, a comprendere il significato nelle diverse figure, le proprietà, le leggi dell'araldica, e a descrivere in linguaggio tecnico qualunque specie di insegne. Malgrado questa distinzione, le voci araldica e blasone sono in generale prese l'una per l'altra”. 5)
“Ancor prima dell'inizio del XII secolo era ormai diventata una consuetudine per i cavalieri e i nobili far dipingere sui propri scudi figure ornamentali. Si trattava di disegni puramente decorativi, ma forse gli araldi capirono che se la decorazione avesse assunto carattere sistematico lo scudo sarebbe diventato il distintivo, il segno di riconoscimento di chi lo portava.
Sembra che agli inizi del XIII secolo gli araldi possedessero un loro particolare linguaggio espressivo, un insieme di convenzioni che vennero accettate, dalla totalità dell'aristocrazia normanna. Da allora in poi gli araldi detennero il controllo di tale sistema, tanto che questa divenne la loro mansione fondamentale.
Gli stemmari compilati dagli araldi sono le più importanti testimonianze sulle origini dell'arte araldica... L'uso dei simboli nasce insieme all'uomo e pertanto viene spontaneo chiedersi cosa rende il simbolismo araldico così unico nel suo genere e assolutamente inimitabile. La risposta è che esso segue dei criteri ben precisi, che possiamo così schematizzare: lo scudo è la forma che meglio si presta allo spiegamento delle armi; queste sono disposte in maniera da risultare facilmente riconoscibili, esteticamente belle e capaci di trasmettere un messaggio simbolico... Qualsiasi espressione artistica nel momento in cui si manifesta per la prima volta possiede doti di semplicità e di essenzialità che col tempo viene gradualmente a perdere, per assumere forme più complesse e articolate; a questa realtà non si sottrae neppure l'araldica”. 6)
Nella scienza araldica per scudo si intende il piano o campo sul quale si pongono le pezze o figure delle quali sono composte le armi: da ciò derivò l'uso di prendere lo scudo per l'arme stessa.
La forma dello scudo cambia a seconda delle epoche nelle quali fu usato; fin dall'antichità era un arnese difensivo di guerra, smesso dopo l'invenzione e il perfezionamento delle armi da fuoco.
Ai tempi dei greci e dei romani, le forme di scudo militare maggiormente usate erano lo scudo a rotella detto parma, inventato dai Galli ed usato dalle milizie romane a cavallo, il clipeo, sempre rotondo e di grandi dimensioni, usato dalle fanterie romane e lo scudo ovale detto ancile.
Nel secolo XII e nella prima metà del XIII, lo scudo divenne alto, pari alla metà del guerriero e veniva chiamato triangolare, nella parte inferiore appuntito e nella parte superiore arrotondato in modo da riparare la persona del guerriero; veniva portato attorno alla spalla mediante un cingolo.
Nella seconda metà del XIII secolo e nel XIV gli scudi s'impiccoliscono, con la tradizionale forma triangolare, ma a lati uguali. Nel secolo XV diventano retti ai lati e al di sotto arrotondati, chiamati perciò semirotondi, sui quali si posizionavano più facilmente le armi composte.
In questo periodo, nelle giostre e nei tornei, vennero usati pure gli scudi a punta, denominati targhe, fortemente incavati e piegati e nel lato sinistro forniti di un intaglio traverso il quale, nel giostrare, i cavalieri passavano la lancia. Concluso l'epico periodo delle giostre e dei tornei, durante il Rinascimento, gli scudi ebbero forme svariatissime ed eleganti: ovali, rotonde, intagliate, che nei secoli XVII e XVIII divennero barocche. Questi scudi presero il nome di targhe, parme, torelle, pavesi, teste di cavallo o di toro.
Lo scudo maggiormente usato in Italia è il sannitico, detto anche francese o moderno, così chiamato perché usato anticamente dai Sanniti. Tale scudo si presta ottimamente per caricarvi le armi composte, risultando di forma quasi quadra, con gli angoli inferiori arrotondati, terminando in fondo con la punta.
“L'arme, vale a dire lo scudo araldico è senz'altro un'espressione del proprio potere; è l'immagine del prestigio, dell'autorità e della ricchezza, ma è anche il simbolo nel quale si crede e per cui si combatte, se necessario, fino alla fine. L'identificazione dell'uomo con la sua città - non solo nel Medio Evo - e di questa con il proprio simbolo, fa sì che ogni minimo cambiamento delle insegne cittadine fosse vissuto come una sconfitta. Firenze, durante le lotte fra guelfi e ghibellini, indicava il cambio dei poteri invertendo semplicemente gli smalti ma mantenendo il simbolo”. 7)
“Ora, per chi voglia studiare il fatto araldico nel suo aspetto cittadino s'imbatte, da subito, in alcune difficoltà quasi insormontabili; il campo dell'araldica comunale, infatti, è carente ed anche molto disordinato. Solo con un lungo e paziente lavoro di cernita, di controllo, di restauro, di ricostruzione di lineamenti e caratteri si possono evitare leggende locali, errate connessioni etimologiche e impossibili riferimenti storici. Vi è un'estrema scarsità di stemmi cittadini originari, che in altre parole risalgano a una data tale da permetterci di ragionare con una certa sicurezza sulle caratteristiche iniziali dell'emblema. Il fatto è che gli stemmi cittadini, a differenza di quelli di famiglia, che in genere sono custoditi con maggior cura, sono soggetti a rapido deperimento, perché applicati a oggetti d'uso, restauri, che ne hanno spesso alterato irrimediabilmente l'aspetto.
In qualche caso particolarmente fortunato possiamo valerci di riproduzioni di stemmi esistenti in pitture o miniature librarie, o anche in disegni a penna, ora rozzi ora abbastanza curati, che spesso s'incontrano nelle pagine dei rogiti notarili o di protocolli di adunanze consiliari. Documentazione attendibile di solito, quanto all'età, ma troppo spesso approssimativa, dal punto di visto araldico vero e proprio. E casuale è anche la menzione, e più ancora la descrizione di stemmi in fonti narrative e cronachistiche. Anche gli statuti cittadini od i vari libri iurium ci aiutano assai poco. E tutte queste fonti ci lasciano del tutto insoddisfatti quando in loro cerchiamo la risposta alla domanda storicamente più importante, circa la data di origine e i motivi e modi di creazione dello stemma cittadino: non erano problemi che interessassero, se non in rari casi.
La prima cura del ricercatore dev'essere quella di accertare la sicura o presumibile presentazione originaria di essi, evitando di appoggiarsi alle loro forme più tarde, di incerto o di nullo valore”. 8)